Trieste

KALMAR BACCALA'

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Non è stato l'intuito di un esperto gastromìnomo a portare i raffinati sapori del baccalà mantecato sulle nostre tavole, ma una tempesta di mare imponente e furiosa tra le acque del mare di Norvegia. Era il 1432. Al largo delle isole Lofoten, oltre il circolo Polare Artico, il patrizio e mercante veneziano Piero Querini naufragava con i suoi 68 marinai. Portato in salvo nell'isola di Rost, notò che gl iabitanti si nutrivano di uno strano pese, fresco o salato, oppure essiccato e battuto al pallido aole artico. Fece il carico di quel particolarissimo "bastone" (stock-fish, in norvegese da cui "stoccafisso") e rientrò in una distratta e incurante Venezia, ricca di pesce fresco. Ci volle un secolo perchè lo stoccaafiso ottenesse la sua meritata rivincita, e precisamente, ci vollero le direttive del Conciliio di Trento del 1563 che sancirono l'obbligo di astinenza dalla carne per quasi 200 giorni e raccomandarono lo stoccafisso come "piatto di magro" tutti i mercoledì e venerdì, insostituibile nei 40 giorni della quaresima. Dalle mani di monache e contadine "il merluzzo venuto dal nord" approdò ben presto alle tavole imbandite di nobili e papi, fino alle prestigiose pagine del ricettario di Bartolomeo Scappi, chef di Pio V, che lo consacrò ufficialmente piatto della cucina italiana. Per i veneziani fu "baccalà" per assonanza con "bacalhau" portoghese e "bacalao" spagnolo, termini evidentemente derivati dall'etimologia latina "baculus", che significa "bastone". E poi "baccalà mantecato", sempre dallo spagnolo letteralmente "crema di bastone". Mascarpone vellutato, spuma aerea e carezzevole, un soffio che fa dimenicare l'aspro umore dello stoccafisso seccato al vento gelido del Nord.

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